Convegni

 

 

 

 

 

È indubbio che il rapporto tra infrastrutture e città sia passato da una fase di iniziale entusiasmo, radicato nelle esperienze pionieristiche della prima età industriale, a un sostanziale criticismo che, su vari livelli, mette in discussione i principi culturali del progetto moderno e contemporaneo di reti, mezzi e strutture per la mobilità. Lontani oramai dall’esaltazione del mito della velocità, che gli artisti del primo Novecento interpretavano in chiave estetica, e avvinti dall’irrefrenabile ebbrezza per l’immateriale hic et nunc della cultura digitale, siamo tutti pur sempre soggiacenti al dominio di materiali “poveri” o d’altri tempi (il ferro, la gomma, l’asfalto…) quando stacchiamo la spina del PC e posiamo di nuovo i piedi per terra.

Ma nei confronti di strade, ferrovie, metropolitane, porti, aeroporti eccetera, i rapporti sono improntati a una generica infelicità, a causa delle loro supplichevoli carenze. Le condizioni di congestione dei mezzi di trasporto e l’intasamento delle vie di traffico, sono solo i più evidenti fenomeni nei quali ciascun individuo quotidianamente si imbatte, accompagnandosi in maniera sostanziale a palesi fenomeni di degrado urbano e ambientale, e a disfunzioni di ordine sovraurbano e territoriale. Ipertofia dei mezzi (di trasporto rispetto al  fine (muoversi)?

È noto inoltre quale ruolo fondamentale abbiano avuto le infrastrutture – di trasporto ma non solo – nell’indirizzare le dinamiche di trasformazione territoriale, sia per via sottrattiva (demolizioni, distruzioni di brani di paesaggi naturali o costruiti…) che per via additiva, governando di fatto le espansioni delle città e le dinamiche sovraurbane.

Questo irrisolto conflitto sollecita analisi, riflessioni e proposte da parte di chi opera all’interno delle discipline del progetto, dando luogo a ulteriori contrapposizioni. L’antica querelle tra architetti e ingegneri si riaccende di fronte alla rivendicazione di ruoli e competenze, pur soggiacendo entrambi a un sistema decisionale e a un insieme di logiche che, nel campo delle infrastrutture, prevarica entrambe le discipline, in virtù di decisioni sostanzialmente politiche ed economiche, ovvero sovrastrutturali.

Superata l’epoca in cui la fiducia nel mondo nella tecnica - dalla machine à abiter di Le Corbusier in poi - portava gli architetti a trovare fonte di ispirazione o attrazione nella cultura ingegneristica, uno dei limiti che oggi vengono messi in evidenza a riguardo delle infrastrutture sta per l’appunto nel fatto che si tratta per lo più di meccanismi, piuttosto che di organismi capaci di stabilire relazioni proficue e non laceranti nei confronti dei contesti in cui sono inserite.

Queste riflessioni maturano a partire da un seminario svolto presso il Politecnico di Milano, promosso dal Dipartimento di Architettura e Pianificazione e dalla rivista Trasporti&Cultura con il coordinamento di Pierfranco Galliani, che ha raccolto una serie di contributi critici attorno a Cultura del progetto e infrastrutture del trasporto collettivo.

L’obiettivo dichiarato è quello di pervenire a dei riferimenti validi per il progetto delle infrastrutture, in analogia a quanto la sperimentazione architettonica nel Novecento ha maturato, ad esempio, riguardo al tema dell’abitazione, attraverso la determinazione di rapporti fondamentali come quello tra tipo edilizio e morfologia urbana.

Si tratta in sostanza, secondo Galliani, di “trovare delle modalità di coniugazione tra linearità ed estensione territoriale tra paesaggio e punti specifici, perché non si tratta soltanto di manufatti di transito (e quindi viadotti, strade, ferrovie, ponti), ma anche di contenitori specialistici, rispetto ai quali trovare delle modalità di raccordo”.

In questo senso Carlo Magnani, facendosi portatore dell’esperienza maturata all’Istituto universitario di architettura di Venezia del quale è attualmente preside, pone l’obiettivo di lavorare sui paesaggi, esteticamente rielaborati intorno ai segni della contemporaneità. Il rischio di soluzioni puramente tecnicistiche trova espressione nel fatto che le infrastrutture, da un punto di vista generale, vengono sviluppate esse stesse come macchine, ovvero a ridosso delle misure dei mezzi che devono contenere. Così, ad esempio, è stato storicamente per le stazioni ferroviarie, per le metropolitane, e anche per le strade, laddove misura della sezione, raggio di curvatura, livellette ecc. hanno trovato una riassuntiva espressione numerica a garanzia di determinati livelli di prestazione. Questa visione parziale può essere superata, secondo Magnani, solo mettendo in campo una cultura complessa e multidisciplinare, capace di riformulare il problema alle radici. In questo senso, il ruolo della grande committenza pubblica appare centrale. Attualmente, la cultura della prestazione si sposa al sistema dei prezzi e al meccanismo dell’affidamento dei lavori, ignorando di fatto ogni coinvolgimento dell’infrastruttura con la nozione di spazio pubblico. Con disincantato realismo, Magnani affronta infine la dimensione del trasporto collettivo, dove si evidenziano ulteriori squilibri originati dalla mancanza di una visione comprensiva dell’infrastruttura come risorsa, forse l’unica in grado di ricostruire e riconnettere un nuovo sistema di gerarchia urbana, una nuova geografia del territorio.

Su questa linea si inserisce l’intervento di Enzo Siviero, direttore del Dipartimento di costruzione dello IUAV, il quale ha illustrato al seminario i risultati delle ricerche sul sistema infrastrutturale dell’area veneziana e del nord est. Tra queste, gli studi per l’integrazione della nuova linea dell’Alta Velocità assieme alla riforma dei tracciati ferroviari esistenti, all’interno del progetto veneto per il Sistema ferroviario metropolitano regionale. Le ricerche pervengono alla definizione puntuale dei manufatti architettonici, attraverso la verifica strutturale e la sperimentazione degli elementi formativi dei nuovi nodi di interscambio. Le soluzioni tecnologiche delle grandi coperture, le strutture a grande luce dei ponti, le alternative tecnologiche per i sistemi di accessibilità sono indagate nei casi di Padova, Mestre, Treviso, Venezia, dove si verificano le potenzialità di trasformazione dei contesti e il ruolo della stazione come elemento di unificazione dello spazio urbano.

Una testimonianza che si addentra ancora di più negli aspetti tecnici ed esecutivi del mondo delle infrastrutture è quella di Giulio Burchi, presidente e amministratore delegato della Metropolitana Milanese, e pertanto latore in prima persona di una consolidata tradizione del progetto infrastrutturale. Da quasi cinquant’anni, infatti, la società creata dal Comune di Milano opera nel campo della progettualità dei manufatti del trasporto collettivo, in Italia e all'estero, con una rilevante specializzazione nella gestione dell’intero ciclo realizzativo – dalle opere civili all’armamento ferroviario – dei sistemi di trasporto di massa ad alta capacità. Fondamentale è il ruolo di supporto nella valutazione delle scelte tecnologiche e tipologiche di tali sistemi, che si rivelano indubbiamente “pesanti” sia dal punto di vista fisiologico vero e proprio, che per gli aspetti finanziari. Uno degli obiettivo che MM si pone è inoltre quello di sviluppare una crescente integrazione tra l’infrastruttura, la sua realizzazione, e le altre infrastrutture di trasporto, giungendo ad operare sulle “interfacce” tra questi sistemi, attraverso, ad esempio, la riorganizzazione delle piazze o la realizzazione di parcheggi intermodali.

Questo punto di vista tecnocratico rimarca però la settorialità delle competenze e una logica aziendalistica, che non sembra rispondere pienamente alle sollecitazioni in direzione di una qualità degli spazi delle infrastrutture. Ritorna in primo piano pertanto il ruolo determinante della committenza, cioè dell’ente pubblico, ed il sottile legame che si può instaurare tra etica del progetto ed estetica della realizzazione.

Si travalica in tal senso l’impegno intorno a un obiettivo di estetizzazione delle opere infrastrutturali, pur necessaria in maniera evidente, per giungere a una riflessione metodologica sulle radici del progetto di infrastruttura. È questo il senso del contributo di Pierluigi Nicolin, architetto e docente al Politecnico di Milano, il quale costruisce attorno alla nozione di infrastruttura un sottile ragionamento che mira a sgomberare il campo da preconcetti e luoghi comuni.

Se, infatti, in senso etimologico, infrastruttura è ciò che permette il collegamento tra strutture esistenti, o che le genera essa stessa, e se viene assunta la consapevolezza che la struttura, oggi, non è solo la linea ferroviaria, ma è il network – la rete -, si rende in tale maniera disponibile una vasta gamma di teorie e di tecniche sulle quali misurare il ragionamento critico. Un network, infatti, si valuta per la sua performatività, ovvero su quante cose consente di realizzare, e per il principio di trasformazione in divenire che determina. Così facendo, si giunge all’apparente paradosso di ipotizzare non certo un’impossibile smaterializzazione delle ferrovie, ad esempio, piuttosto di far sì che le infrastrutture non siano intese solo come strutture. Il ragionamento di Nicolin mira pertanto a introdurre una dimensione più raffinata, una leggerezza che dovrebbe permeare, in termini di civiltà e non solo di dibattito disciplinare, le decisioni che si andranno a prendere nel campo infrastrutturale. Questo significa, per tornare alla fine dell’ottimismo di inizio secolo, assumere la consapevolezza di una durata limitata nel tempo dell’infrastruttura che viene realizzata, e progettarne anche il futuro smontaggio. Significa infine maturare una cultura e un atteggiamento del costruire improntato ad un atteggiamento etico del “cosa è giusto fare”.

Da ultimo, l’esperienza di “Trasporti&Cultura”, testimoniata da Laura Facchinelli, viene proposta come apporto culturale e divulgativo nei confronti di questi temi, ponendoli in una modalità che ritorna costantemente sulla centralità del progetto, inteso non come semplice sommatoria di competenze multidisciplinari, bensì come luogo del dialogo critico tra aspetti storici, sociali, funzionali, tecnologici, ambientali.

Il confronto con le esperienza straniere mette in luce le valenze e le potenzialità delle infrastrutture di trasporto, pensate come generatrici di nuovi paesaggi. Superare la pedissequa riproduzione di schemi fissi e standardizzati, per giungere a progetti studiati attorno ai segni della nuova contemporaneità, significa maturare la consapevolezza collettiva che, ad esempio, un’autostrada può appartenere di diritto alla sfera delle arti, al pari di una piazza o di un altro luogo urbano. Non a caso, del resto, è invalso l’appellativo di “opere d’arte” per quei manufatti (ponti, gallerie, viadotti ecc.) che costituiscono un’infrastruttura. Da questa consapevolezza si rivendica ancora una volta il “diritto alla bellezza”, per tutti quei luoghi, quelli legati alle infrastrutture, che sono parte costitutiva dell’esperienza di vita di ciascuno.

 

Articolo di Alberto VIGNOLO pubblicato nella rivista Trasporti & Cultura,

n° 9 maggio-agosto 2004

 

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